Il greco: una storia lunga tremila anni
Introduzione
Il greco è una delle grandi lingue della civiltà occidentale. Per secoli è stato la lingua della filosofia, della matematica, della scienza e della politica, e dopo le conquiste di Alessandro Magno è diventato la lingua franca del Mediterraneo. Nella sua versione moderna, il greco è parlato da circa 13 milioni di persone soprattutto in Grecia e a Cipro, ma ci sono minoranze grecofone anche in Albania, Sud Italia (Salento e Calabria), Ucraina (Crimea e Mariupol), Georgia, Siria, Libano, Egitto e Russia. A queste comunità storiche vanno aggiunti i greci della “diaspora”, sparsi in tutto il mondo.
Ovviamente la lingua è cambiata nei millenni, ma ciò che rende il greco così affascinante è la sua continuità. Non ci sono mai state vere interruzioni, come nel caso del latino: nelle sue varie forme, il greco è parlato ininterrottamente da più di tremila anni. Le prime testimonianze scritte risalgono al 1450 a.C. Per fare un confronto, il primo documento in italiano, il Placito Capuano, risale al 960 d.C.[1]
Una periodizzazione della storia della lingua greca potrebbe essere questa:
· Proto-greco: 3000–2000 a.C.
· Greco antico: 2000–323 a.C.
· Koinè ellenistica: 323 a.C.-620 d.C.
· Greco medievale: 620 d.C.-1453 d.C.
· Greco moderno: 1453-oggi
[1] “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”
Le origini
Il greco è una lingua indoeuropea, come gran parte delle lingue europee (eccetto il finlandese, l’estone, l’ungherese, il maltese e il basco), ma anche il persiano e molti idiomi indiani. Discende quindi da una lingua, o forse un insieme di dialetti, parlata nel V secolo a.C. da popoli nomadi stanziati nelle steppe eurasiatiche a est e a nord del Mar Nero. La teoria dell’origine comune delle lingue indoeuropee nacque tra il Settecento e l’Ottocento da studiosi come William Jones, Franz Bopp e Rasmus Rask, che trovarono somiglianze tra il sanscrito, il latino e il greco. Ad esempio:
Intorno al III millennio a.C. finì l’epoca dell’indoeuropeo unitario. I popoli indoeuropei cominciarono a muoversi verso l’Europa, inclusa la penisola balcanica. Secondo la teoria tradizionale, gli indoeuropei arrivarono in Grecia progressivamente: prima arrivarono gli Ioni (intorno al XX secolo a.C.), poi gli Eoli e gli Achei (XVII secolo), poi i Dori (XII secolo). Questi popoli si fusero con le popolazioni locali, assorbendone anche alcune parole. Si tratta soprattutto di nomi riguardanti la religione (Atena, Artemide, Efesto, Afrodite), toponimi (Creta, Naxos, Cnosso, Corinto, Rèthymno, Atene, Micene), frutta e materiali sconosciuti agli indoeuropei (ελαία, ορίγανον, χρυσός, σίδηρος, cioè oliva, origano, oro, argento), parole come θάλασσα (mare), ασπίς (scudo), κίνδυνος (pericolo) e il suffisso -ινθος (vedi λαβύρινθος, labirinto). Molte di queste parole si sono conservate più o meno uguali nel greco moderno.
Prime testimonianze
Nella Grecia attuale e nelle colonie sono state trovate iscrizioni in diversi alfabeti. Dal 2000 al 1750 a.C. troviamo geroglifici simili a quelli egiziani, dal 1750 al 1450 a.C. la lineare A, dal 1450 a.C. al 1200 a.C. la lineare B e, dopo un periodo oscuro di circa quattro secoli, dal VIII secolo a.C. cominciò ad affermarsi un alfabeto simile a quello moderno. Se i geroglifici e la lineare A non sono ancora stati decifrati, nel 1953 l’architetto Michael Ventris riuscì a decifrare la lineare B, sfruttando alcune somiglianze con il sillabario cipriota, un sistema sillabico in uso a Cipro fino al III secolo a.C.
Queste testimonianze in lineare B risalgono a un periodo fra il XV e il XIII secolo a.C. e provengono dai principali centri della civiltà micenea (Micene, Pylos, Tiryntha, Tebe) ma anche da Creta (Cnosso, Candia). Il testo più antico risale al 1450 a.C. La civiltà micenea si estendeva nella Grecia centrale e meridionale e anche in alcune isole, ed era organizzata in piccoli stati governati da palazzi “reali”. I palazzi erano sede di un’amministrazione sufficientemente complessa da richiedere l’uso della scrittura. I frammenti rinvenuti sono stati scritti su tavolette d’argilla lasciate essiccare al sole. Si sono salvati per circostanze quasi miracolose: fra il XIII e il XII secolo a.C. i palazzi micenei furono distrutti e le fiamme cossero le tavolette crude conservate nei magazzini, rendendole così leggibili fino ad oggi.
La lineare B era un sistema sillabico, cioè ad ogni simbolo corrispondeva una sillaba. In totale, ci sono circa novanta simboli sillabici, oltre a circa cento ideogrammi con valore semantico e un sistema numerico decimale. Prima della scoperta di Ventris non si pensava che la lineare B “nascondesse” una forma primitiva di greco. La sorpresa fu enorme quando dalle tavolette di argilla comparvero alcune parole indiscutibilmente greche, come ti-ri-po-das (τρίπους, tripode), wa-na-ka (greco antico ἄναξ, re del palazzo), ra-wa-ke-ta (λααγέτης o λααγέτας, capo del popolo. Da λαός=popolo, ηγέτης=condottiero, guida), po-to-lis (πτόλις, poi πόλις e in greco moderno πόλη, città).
L’alfabeto
La lineare B era un sistema molto carente: non permetteva di accostare due consonanti e non riusciva a riprodurre molti suoni della lingua greca. Era una lingua degli scribi per gli scribi. Siamo ancora molto lontani dalla “democrazia della scrittura”, in cui tutti possono imparare a leggere e scrivere. Un sistema di scrittura simile alla lineare B rimase in uso a Cipro fino al V secolo a.C.
Tra il XII e l’VIII secolo a.C. la Grecia cadde in un periodo oscuro, in passato noto come Medioevo ellenico, di cui non abbiamo testimonianze scritte. A partire dalla metà dell’VIII secolo, però, alcuni ritrovamenti ci svelano che i Greci avevano adottato un nuovo sistema di scrittura. Si tratta di un alfabeto molto simile a quello attuale, importato molto probabilmente dai Fenici. Come tutti gli alfabeti semitici, inclusi quello ebraico e quello arabo, inizialmente si leggeva da destra a sinistra. I greci, però, introdussero una grande innovazione: i simboli per indicare le vocali. In passato si scrivevano solo le consonanti, perciò la parola κπς avrebbe potuto essere letta “κήπος” (giardino), “κόπος” (sforzo) o “κάπως” (in un modo o nell’altro). Introducendo le vocali, per la prima volta il linguaggio scritto corrispondeva esattamente a quello orale: in termini tecnici, ad ogni fonema corrispondeva un grafema. Inoltre, i greci introdussero alcuni simboli assenti nell’alfabeto fenicio, come la Φ (in greco antico ph) e la Χ (ch o kh).
Per molti secoli coesistettero vari alfabeti nel mondo ellenico, divisi in alfabeti orientali, dove Χ si leggeva kh, e alfabeti occidentali, dove Χ si leggeva ks. In particolare, dall’alfabeto cumano o calcidico[2] deriverà l’alfabeto latino. Tra tutti gli alfabeti prevalse quello ionico. Questo portò alla scomparsa di alcuni simboli, tra cui il digamma (ϝ), corrispondente più o meno alla lettera inglese w. Il digamma ha lasciato però evidenti tracce nella lingua greca: per vederlo basta confrontare il greco ἔργον, originariamente ϝέργον, con l’inglese “work” e il tedesco “Werk”.
La prima testimonianza di un testo scritto con l’alfabeto greco è l’epigrafe di Dipylon, incisa intorno al 740 a.C. su un oinochòe, cioè una brocca monoansata usata per versare vino. L’incisione, incompleta, recita: “ὃς νῦν | ὀρχη|στῶν πάν|των ἀτα|λώτατα | παίζει τῶ τόδε…”[3]. La traduzione sarebbe: “chi tra tutti questi danzatori ora ballerà in maniera più aggraziata, riceverà questa (brocca)”. Un’altra iscrizione simile e più o meno contemporanea è la coppa di Nestore, rinvenuta a Ischia, allora colonia greca.
A partire dal V secolo a.C. venne definitivamente adottata la scrittura da sinistra verso destra. Dopo la sconfitta nelle Guerre del Peloponneso e il ritorno della democrazia, ad Atene si decise di adottare l’alfabeto ionico orientale. Nel 403 a.C. l’arconte Euclide varò una riforma della scrittura destinata a durare nei secoli: vennero introdotte le lettere Ω (omega) e H (éta o ìta), pronunciate rispettivamente come una “o” lunga e una “e” lunga (in greco moderno, come vedremo, Η si pronuncia i), per differenziarle dalle varianti brevi Ο ed Ε. Il greco classico, infatti, distingueva le vocali anche in base alla quantità, cioè alla durata di emissione del suono. Per esempio, la parola κόμη (chioma) veniva pronunciata [kòmee], mentre la parola κώμη (villaggio) veniva pronunciata [kòomee]. Un esempio contemporaneo viene dall’inglese: la parola ship (nave) si pronuncia con una i breve, mentre la parola sheep (pecora) si pronuncia con una i lunga, [shiip]. Come detto, Ω e Η erano sempre lunghe, Ε e Ο erano sempre brevi, mentre Α (alfa) e Ι (iota) potevano essere lunghe o brevi a seconda del contesto (ancipiti). La distinzione fra vocali brevi e lunghe cominciò a perdersi a partire dall’età ellenistica, fino a scomparire totalmente nel greco moderno.
I greci antichi scrivevano usando solo le lettere maiuscole, senza separazione fra le parole, accenti o segni di interpunzione. Solo nel III secolo a.C., in piena età ellenistica, furono introdotti gli accenti e i segni di interpunzione, per opera di Aristofane di Bisanzio. Per le lettere minuscole, invece, bisognerà aspettare il IX secolo d.C. Fino al 1982, il greco aveva tre tipi di accenti: l’accento acuto (‘), che indicava un innalzamento della voce sulla sillaba accentata, l’accento grave (`), che indicava un abbassamento della voce, e l’accento circonflesso (῀), che indicava un innalzamento seguito da un abbassamento della voce. Richiedendo una doppia intonazione, l’accento circonflesso poteva essere posto solo su una vocale lunga. A differenza dell’italiano, in greco l’accento viene sempre posto sulla sillaba accentata, indipendentemente dalla sua posizione nella parola. Per definizione, l’accento in greco (anche moderno) non può mai risalire oltre la terzultima sillaba. Nel greco classico, invece, l’accento non poteva superare la penultima sillaba se l’ultima sillaba era breve. In greco moderno, dove come detto la distinzione tra vocali lunghe e brevi si è persa, possiamo trovare parole proparossitone con l’ultima sillaba lunga, ad esempio αναχώρηση (partenza): questo perché in greco classico si diceva ἀναχώρησις con ι finale breve.
Oltre agli accenti, Aristofane di Bisanzio introdusse anche gli spiriti. Lungi da ogni significato metafisico, lo spirito è un segno diacritico che viene posto sulla vocale o sulla ρ iniziale di una parola. La sua funzione è indicare la presenza o l’assenza di aspirazione: lo spirito aspro (῾) indica la presenza di aspirazione, lo spirito dolce (᾿) indica l’assenza di aspirazione. Per fare un esempio, la parola ὅρος (confine o condizione) si leggeva [hòros], mentre la parola ὄρος (monte) si leggeva [òros]. Anche l’aspirazione si è persa con il passare dei secoli. Nel 1982, con somma gioia di tutti, il governo greco adottò il sistema “monotonico”, che conserva solo l’accento acuto ed elimina gli spiriti. Esistono però alcuni giornali conservatori, tra cui Εστία (focolare), che usano ancora il sistema politonico.
Per quanto riguarda i segni di interpunzione, ci sono alcune differenze con l’alfabeto latino. Il punto interrogativo si indica con il simbolo “;”. Il nostro punto e virgola viene reso con il punto in alto (·). Queste differenze permangono nel greco moderno, anche se il punto in alto è usato molto raramente e sui social molti usano il punto interrogativo latino.
[2] Scritto secondo le convenzioni moderne. L’originale (da destra a sinistra) era: “ΗΟΣΝΥΝΟΡΧΕΣΤΟΝΠΑΝΤΟΝΑΤΑΛΟΤΑΤΑΠΑΙΖΕΙΤΟΤΟΔΕΚΛΜΙΝ”
[3] Dalla città di Calcide, in Attica. Da non confondere con la penisola calcidica. Cuma, invece, fu una colonia greca in Campania
Il greco antico
Un insieme di dialetti
La versione del greco più nota agli studenti italiani è senz’altro il greco antico. Parliamo di una fase molto lunga, dal XIV secolo a.C. al 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno. Volendo si potrebbe introdurre una seconda distinzione fra greco omerico (1200–800 a.C.) e greco classico (V e IV secolo a.C.).
In questo lungo periodo la Grecia non aveva un governo unitario, ma era divisa in varie città stato (pòleis), che spesso controllavano il territorio circostante e avevano colonie nel Mediterraneo o nel Mar Nero. La naturale conseguenza fu la frammentazione linguistica. Fino alle conquiste di Alessandro Magno non esisteva una lingua greca comune, ma un insieme di dialetti mutuamente intelligibili. I principali dialetti erano:
· Gruppo ionico-attico: Parlati sulla costa occidentale dell’Asia Minore, nell’Eubea e in molte isole dell’Egeo. Da questo gruppo si svilupperà il dialetto attico, parlato nella regione di Atene;
· Gruppo arcadico-cipriota: Parlati in Arcadia (regione centrale del Peloponneso) e a Cipro;
· Gruppo eolico: Comprende l’eolico d’Asia (Lesbo), il tessalico e il beotico;
· Dialetti del Nord-Ovest: Parlati nella Grecia nord-occidentale;
· Gruppo dorico: Parlati nel Peloponneso (tra cui Sparta), a Creta, a Rodi e in gran parte della Magna Grecia.
Alcuni linguisti, tra cui Georgios Babiniotis, includono tra i dialetti greci anche il macedone, la lingua parlata da Alessandro Magno e dai suoi antenati. Di questo dialetto sono rimaste pochissime testimonianze scritte, e già Filippo, padre di Alessandro, scelse il dialetto attico come lingua ufficiale dello Stato macedone. L’unica certezza è che l’antico macedone non avesse nulla a che fare con la lingua parlata oggi nella Macedonia del Nord: quest’ultima è una lingua slava, portata dai popoli che invasero i Balcani tra il VI e il VII secolo d.C.
Una caratteristica peculiare del greco antico sono i cosiddetti “dialetti letterari”. I letterati greci, infatti, non scrivevano nel loro dialetto, ma in quello più adatto al loro genere letterario. Ad esempio, l’epica, la poesia giambica e la poesia elegiaca si scrivevano in ionico, la poesia monodica di Saffo e Alceo si scriveva in eolico, la poesia corale di Pindaro si scriveva in dorico. L’attico, nato come variante dello ionico, presto divenne la lingua della tragedia, della commedia, della storiografia, dell’oratoria e della filosofia. Con l’ascesa di Atene, l’attico diventerà il dialetto più prestigioso, e sarà la base della koiné ellenistica.
Caratteristiche del greco antico
Non stresseremo i lettori con tutti i dettagli della grammatica greca antica, ma daremo una breve infarinatura. Il greco antico, così come il greco moderno, è una lingua altamente flessiva: si usano cioè prefissi, suffissi e variazioni del tema e della radice per indicare funzioni grammaticali. Ad esempio, nella parola “uomini” la “i” indica il maschile plurale, nella parola dormivate la radice è “-dorm”, il tema dell’imperfetto è “-dormiva” e la desinenza “-te” indica la seconda persona plurale.
Sia il greco classico che il greco moderno hanno tre generi, maschile, femminile e neutro. La differenza si nota dalla desinenza e dal genere dell’articolo.
Il greco antico aveva cinque casi:
· Nominativo: indica il soggetto
· Genitivo: indica il complemento di specificazione
· Dativo: indica il complemento di termine. È scomparso in greco moderno
· Accusativo: indica il complemento oggetto
· Vocativo: indica il complemento di vocazione, cioè la persona a cui viene rivolto il discorso.
Oltre al singolare e al plurale, il greco antico aveva anche il duale, che si riferisce a due elementi che costituiscono una coppia fissa. Il duale sparì a partire dal IV secolo a.C., anche se ci furono tentativi di reintrodurlo nella lingua formale. Esistevano (ed esistono tuttora) tre declinazioni.
I verbi greci possono diverse categorie grammaticali. La più importante è l’aspetto, cioè la maniera in cui si presenta l’azione espressa dal verbo, rispetto alla sua durata, compiutezza e svolgimento. In greco antico l’aspetto può essere:
· Continuo: indica un’azione ripetuta, che dura nel tempo. Si esprime con il tema del presente
· Momentaneo: indica un’azione colta nel momento in cui si compie, che non si ripete. Si esprime con il tema dell’aoristo
· Compiuto: Implica il risultato nel presente di un’azione avvenuta nel passato, considerata come compiuta. Si esprime con il tema del perfetto.
Anche il greco moderno, che ha perso il perfetto, distingue rigorosamente fra aspetto momentaneo e aspetto continuativo. Per esempio, il futuro momentaneo si forma dal tema dell’aoristo e indica un’azione che si compirà nel futuro in un preciso istante, ad esempio “Domani leggerò un libro: Αύριο θα διαβάσω ένα βιβλίο [àvrio tha diavàsso èna vivlìo]” . Il futuro continuativo, invece, si forma dal tema del presente e indica un’azione che si ripeterà nel tempo, ad esempio: “Quest’anno leggerò spesso: Φέτος θα διαβάζω συχνά [fètos tha diavàso sichnà]”.
I verbi greci possono avere tre diatesi: attiva, passiva e medio-passiva. Quest’ultima esprime un’azione che il soggetto compie per suo vantaggio o interesse. La diatesi medio-passiva ha le stesse desinenze del passivo. Per finire, oltre a indicativo, congiuntivo, imperativo, infinito e participio esisteva un altro modo, l’ottativo: scomparso in greco moderno, esso era il modo del desiderio.
La pronuncia
La principale differenza fra greco antico e greco moderno è la pronuncia. La fonetica del greco è sempre cambiata nei secoli, ma soprattutto a partire dall’età di Cristo la pronuncia ha iniziato ad assomigliare sempre di più a quella moderna. Nel 1453 i turchi conquistarono Costantinopoli e molti intellettuali greci trovarono riparo nell’ Europa cristiana. Il loro arrivo coincise con una riscoperta della cultura classica, parte fondamentale della grande stagione del Rinascimento. Questi dotti greci portarono in Europa la pronuncia bizantina del greco, sostanzialmente uguale a quella moderna. Questa pronuncia è detta itacistica, perché la lettera η si pronuncia [i]. Inizialmente gli umanisti accettarono questa versione: uno dei principali sostenitori della pronuncia itacistica fu il filologo tedesco Johannes Reuchlin (1455–1522).
A Reuchlin si oppose Erasmo da Rotterdam (1467–1536), autore del trattato De recta latini graecique sermonis pronunciatione (Sulla giusta pronuncia del greco e del latino). Erasmo confuta le tesi di Reuchlin basandosi su varie prove. Prima di tutto, cita un verso del commediografo ateniese Cratino, che riproduce il belato delle pecore con “βῆ”. Nella pronuncia moderna si leggerebbe [vi], ma il verso delle pecore non è cambiato nei secoli: doveva essere quindi [bèe]. Inoltre, Erasmo considera la resa in latino di alcune parole greche. Ad esempio, Θήβαι diventa Thebae, ποινή poena. A partire dal trattato di Erasmo nascerà un dibattito che porterà alla pronuncia etacistica (η si legge “e” lunga) del greco antico, insegnata nelle scuole di tutto il mondo (tranne in Grecia, dove per questioni di convenienza si usa la pronuncia moderna). Bisogna notare che lo stesso dibattito si generò anche in latino: nei licei italiani si insegna la pronuncia ecclesiastica, dove ad esempio la c ha un suono dolce se seguita da “e” o “i”, mentre sembra ormai appurato che gli antichi romani la pronunciassero sempre come una “k” (ad esempio “Cicero” si leggerebbe [Kìkero].
Riassumiamo ora le differenze fra la pronuncia antica e quella moderna. Per la prima usiamo la convenzione adottata nei licei italiani, anche se va ricordato che si tratta di una ricostruzione non sempre fedele.
Diamo alcuni esempi:
· Παιδεία (educazione): greco antico [paidèia], greco moderno [pedhìa]
· Βοήθεια (aiuto): greco antico [boèetheia], greco moderno [voìthia]
· Ταύρος (toro): greco antico [tàuros], greco moderno [tàvros]
· Εύκολος (facile): greco antico [èukolos], greco moderno [èfkolos]
· Γέφυρα (ponte): greco antico [gèfüra], greco moderno [jèfira].
La koinè ellenistica: l’inglese del Mediterraneo
Alla periferia del mondo ellenico durante l’epoca classica, il Regno di Macedonia cominciò ad espandersi con il padre di Alessandro Magno, Filippo II. Egli riformò l’esercito introducendo la falange macedone e puntò verso la Grecia. Nonostante l’opposizione delle pòleis greche, infiammate dalle Filippiche di Demostene, nel 338 a.C. Filippo II trionfò nella battaglia di Cheronea e si assicurò una posizione di egemonia sull’intera Grecia. Dal punto di vista linguistico, come detto, egli scelse il dialetto attico come lingua ufficiale del suo regno. L’epopea macedone, però, si compì sotto Alessandro Magno. Dopo aver sottomesso le pòleis greche, Alessandro sconfisse l’immenso Impero persiano. Alla sua morte, nel 323 a.C., l’impero macedone si estendeva dalla Grecia al fiume Indo (nell’India settentrionale), dall’Egitto all’ Afghanistan, comprendendo tutta l’Anatolia, il Medio Oriente, il Turkmenistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan e i Balcani meridionali. Vi mostriamo qui una mappa di questo immenso impero.
L’Impero non sopravvisse ad Alessandro Magno, e dopo la sua morte fu diviso fra i suoi successori (diadochi, dal greco διάδοχος). Nacquero quindi vari regni ellenistici, dei quali forse il più famoso fu il regno Tolemaico d’Egitto, la cui ultima regina fu Cleopatra. La conseguenza più importante per la nostra storia fu la nascita della Koinè ellenistica, che divenne la lingua franca del Mediterraneo. Per lingua franca si intende un idioma parlato da persone di diversa lingua madre per comunicare fra di loro. Un esempio moderno è l’inglese.
La koiné (dal greco κοινή, comune) era basata sul dialetto attico, ma ben presto andrò incontro a sostanziali semplificazioni, per essere più accessibile alle popolazioni straniere che dovevano impararla. Si tratta di uno stadio fondamentale della storia della lingua greca. Convenzionalmente dura dal 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno, al 620 d.C., anno in cui l’imperatore Eraclio scelse il greco come lingua ufficiale dell’Impero Romano d’Oriente.
Con la conquista romana della Grecia, nel 146 a.C., il greco non perse lo status di lingua franca. La cultura greca a quel tempo aveva un prestigio molto superiore a quella latina: come disse Orazio, “Graecia capta ferum victorem cepit/ et artes intulit agresti Latio” (La Grecia conquistata [dai Romani] conquistò il selvaggio vincitore, e portò le arti nel Lazio agreste). Cosa significa questa citazione? La Grecia fu sì sconfitta militarmente, ma trionfò culturalmente. Tutti i patrizi romani più in vista conoscevano perfettamente il greco e spesso andavano in Grecia a studiare o avevano precettori greci. Lo stesso Giulio Cesare parlava greco, tanto che pare che non abbia detto “tu quoque, Brute, fili mi!”, ma “καὶ σὺ τέκνον;”. Anche l’imperatore Marco Aurelio scrisse i suoi Colloqui con sé stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν) in greco. Soprattutto, però, i Vangeli furono scritti o per lo meno tradotti in koiné ellenistica, e lo stesso vale per le lettere di Paolo. Il greco ellenistico fu la prima lingua franca della Cristianità, fondamentale per diffondere il messaggio cristiano nel mondo conosciuto.
È difficile stabilire quale fosse il confine linguistico tra latino e greco. Ad esempio, in parte del Sud Italia prevalse il greco fino alla conquista normanna nell’ XI e XII secolo d.C. Ancora oggi esistono piccole comunità grecofone in Calabria e Salento, la loro lingua è detta grìko o grecanico. Nei Balcani si pensa che il confine corrispondesse alla linea Jireček, che va da Lezhë in Albania a Varna in Bulgaria. A nord di questa linea prevaleva il latino (e altre lingue, fra cui l’albanese), a sud il greco. Questa distinzione rimase valida fino a circa il IV secolo a.C. Tra il VI e il VII secolo a.C. gran parte dei Balcani, specie a nord della linea Jireček, furono invasi dagli slavi, la cui lingua finì per prevalere su gran parte delle lingue neolatine parlate nella regione.
Una lingua che cambia
La koinè ellenistica fu una lingua in costante evoluzione. Da una parte il contatto con culture e popoli diversi, dall’altra alcune tendenze comuni alle lingue indoeuropee: il greco dell’imperatore Eraclio era molto diverso da quello di Alessandro Magno.
Quando una lingua si espande su un territorio molto più alto della regione di origine, avvengono cambiamenti importanti. Il greco divenne la seconda lingua di persone che parlavano lingue diverse: arabi, egizi, siriani, ebrei e molti altri. Alcuni di questi popoli diventeranno bilingui, altri abbandoneranno completamente la lingua madre. Nel processo di apprendimento di una lingua, è normale che lo “studente” cerchi di semplificare la grammatica, eliminare le eccezioni e magari adattare il nuovo idioma alla lingua madre. Ad esempio, i bambini inglesi, una volta imparato che il past simple si forma aggiungendo -ed, tendono ad estendere la regola anche ai verbi irregolari e dire goed invece che went. Allo stesso modo, gli studenti italiani di inglese adattano la pronuncia inglese a quella italiana e dicono [tink] invece che [think]. Di solito questi errori vengono corretti dagli adulti o dagli insegnanti, ma alcuni finiscono per prevalere e diventare la nuova regola. Immaginiamo ora questo processo in un mondo in cui l’istruzione di massa non esisteva e l’analfabetismo dilagava.
Quali sono quindi i cambiamenti della koiné ellenistica? Vediamoli insieme:
· Si perde la distinzione fra vocali lunghe e brevi;
· Iotacismo: η, υ, ει, οι, υι si pronunciano [i];
· Spariscono i verbi in -μι: Vengono sostituiti o da sinonimi (ὄλλυμι →καταστρέφω; distruggere), o da forme analoghe in -ω (δίδωμι →δίδω, greco moderno δίνω, dare);
· Sparisce il raddoppiamento[4] del perfetto, sostituito dall’aumento[5], tipico dei tempi storici. Ad esempio, λέλυκα →ἔλυκα (ho sciolto). Il greco moderno ha abolito il perfetto, ma la desinenza -κα viene usata per l’aoristo passivo. Ad esempio ἐγράφθην →γράφθηκα (fui scritto);
· Scambi tra declinazioni: Molti nomi della terza declinazione (più difficili) passano alla prima o alla seconda declinazione, spesso partendo dalla forma dell’accusativo singolare. Per esempio, γυνή →γυναίκα (donna), γέρων →γέρος (vecchio), πατήρ →πατέρας (padre);
· Monottongazione dei dittonghi: αι si pronuncia [e]; οι, ει, υι si pronunciano [i]. Questo genera numerosi omofoni, perciò, ad esempio, nei Vangeli ὗς (maiale) e οἴς (pecora) vengono sostituiti da χοῖρος e πρόβατον, parole ancora usate in greco moderno. Un fenomeno simile avviene anche in latino: nei manoscritti medievali troviamo errori come lodo invece che laudo, segno che ormai -au si pronunciava [o], come in francese;
· A un sostantivo si sostituisce il suo diminutivo: Anche questo è un fenomeno tipico delle lingue volgari. Ad esempio παῖς (bambino) diventa παιδίον. In greco medievale diventerà παιδίν, in greco moderno παιδί. Lo stesso avviene nel passaggio dal latino all’italiano: auris →auricla →orecchio;
· L’uso del dativo declina: Il dativo non scompare ancora nella koinè ellenistica, ma spesso viene sostituito da forme perifrastiche. Ad esempio, nel Vangelo di Giovanni troviamo ἐπίστευσαν εἰς αὐτόν (credettero a lui) invece che ἐπίστευσαν αὐτῷ. La funzione di complemento di termine, stato in luogo e moto a luogo viene espressa da εἰς + Accusativo[6] (greco moderno σε + Accusativo), la funzione comitativo-sociativa (con) viene espressa da μετά + Genitivo, in greco moderno με + Accusativo. In greco moderno il dativo è scomparso, rimane solo in alcune espressioni come δόξα τω θεώ! (grazie/gloria a Dio!);
· Il futuro diventa perifrastico: Inizialmente il futuro analitico (es. λύσω) viene sostituito da μέλλω (sto per fare) + infinito. Nel greco medievale diventerà θέλω (voglio) + infinito, poi θέλω ἵνα + congiuntivo. In greco moderno θέλω ἵνα si contrae in θα;
· Scompare l’ottativo: questo passaggio avviene alla fine della fase ellenistica, nel VI secolo d.C;
· L’uso dell’infinito declina: viene sostituito da ὅτι + indicativo o ἵνα + congiuntivo. In greco moderno l’infinito è sparito, sostituito da να + congiuntivo. Rimangono tracce dell’infinito nell’απαρέμφατο, equivalente del nostro participio passato, usato per costruire le forme composte: ad esempio, έχω πέσει (sono caduto), dove πέσει è un retaggio dell’infinito aoristo πεσεῖν. Come vediamo, nel greco moderno il perfetto e il piuccheperfetto si formano rispettivamente con έχω e είχα + απαρέμφατο;
· Rotazione consonantica: Nelle lingue germaniche tra Tarda Antichità e Alto Medioevo le consonanti cambiano forma. Ad esempio, la “p” diventa “pf” (Peper →Pfeffer, pepe), la “k” diventa “ch” (maken →machen, fare). In greco avviene un fenomeno simile: “b”, “d” e “g” diventano “v”, “dh”, “gh”; “p+h”, “t+h”, “k+h” diventano “f”, “th”, “ch”;
Importazione di parole straniere: se il greco ellenistico influenzerà enormemente il lessico delle lingue vicine, soprattutto il latino, allo stesso tempo alcune parole straniere entreranno a far parte del lessico greco. Ad esempio παράδεισος (paradiso) viene dal persiano paridayjah, originalmente “giardino”, ὁσπίτιον (casa, greco moderno σπίτι) viene dal latino hospitium e ovviamente molte parole bibliche, come αμήν (amen), derivano dall’ebraico o dall’aramaico.
[4] Raddoppiamento=Per formare il perfetto, la prima sillaba del verbo viene raddoppiata. λύωàλέλυκα
[5] Aumento= Aggiunta di una -ε prima del tema del verbo per formare i tempi storici. Se il verbo inizia per vocale, la ε e la vocale. Ad esempio γράφωàἔγραψα. In greco moderno, l’aumento permane solo quando è accentato. Ad esempio, si dice έγραψα (scrissi) e γράψατε (scriveste).
[6] È possibile che il nome “Istanbul” derivi dal greco “εις την Πόλιν” [ìs tìn pòlin], nella Città (cioè Costantinopoli).
L’atticismo: reazione al cambiamento
Questo “imbarbarimento” del greco, però, non piaceva a tutti. A partire dal I secolo a.C. i dotti e i grammatici dei principali centri ellenistici, soprattutto Alessandria, pensavano di vivere in un periodo di declino culturale. Da una parte c’era una lingua volgare e inadatta all’arte, dall’altra la retorica ampollosa e piena di elementi ionici degli asiani. Per fermare il declino e tornare a produrre opere degne della cultura classica esisteva una sola soluzione: tornare al dialetto attico del V e IV secolo a.C., il periodo di massimo splendore della civiltà greca. Questo movimento retorico-stilistico è detto atticismo. Nelle didascalie dei grammatici atticisti troviamo esortazioni a non usare parole “corrotte” e scegliere invece parole più adeguate. Il criterio era la presenza o meno di queste parole nei testi scritti nel dialetto attico del V e IV secolo a.C. ad Atene.
La tendenza al purismo si rafforzò con la Seconda Sofistica, un movimento stilistico che si diffuse dal I e il IV secolo d.C. e intendeva riportare in auge lo studio e l’esercizio dell’eloquenza dell’antica Sofistica (V secolo a.C.). Il risultato, però, fu la produzione di opere con uno stile ancora più ampolloso e artificiale di quello degli atticisti. Ad esempio, il tentativo di reintrodurre il duale non produrrà effetti.
Se l’Atticismo e la Seconda Sofistica non riuscirono a cambiare la lingua parlata dalla gente comune, ebbero invece una grande influenza sulla lingua letteraria e burocratica. Anche la Chiesa, che inizialmente usava la lingua popolare, iniziò a servirsi della lingua arcaizzante per poter dibattere con i dotti pagani. Nel I secolo a.C., quindi, si posero le basi di uno dei grandi problemi della storia greca moderna: la questione della lingua. Da una parte c’era la lingua parlata dal popolo, semplificata e ricca di prestiti stranieri, dall’altra la lingua artificiale e arcaizzante parlata da letterati, ecclesiastici e burocrati. Come vedremo, con la nascita dello Stato nazionale greco la questione della lingua (γλωσσικό ζήτημα [glossikò zìtima]) porterà a scontri anche fisici.
Il greco medievale
Nel 620 d.C. l’imperatore Eraclio scelse il greco come lingua ufficiale dell’Impero Romano d’Oriente. Con la caduta della parte occidentale nel 476 a.C., lo Stato romano era sempre più greco che latino. Questo non significa che l’Impero di Oriente non si considerasse una continuazione del grande Impero Romano: il termine “bizantino”, inventato nel XVI secolo d.C. e usato in senso dispregiativo dagli Illuministi, non fu mai usato dai sudditi di Costantinopoli, che si consideravano Ρωμαίοι o Ρωμιοί (romani).
Il greco medievale è forse la fase meno nota dell’evoluzione della lingua, ma fu un periodo cruciale. La distinzione fra lingua arcaizzante e lingua popolare si intensificò sempre di più, ma senza produrre la stessa frattura che si verificò fra latino e lingue romanze. A differenza del latino, infatti, il greco continuò ad essere la lingua ufficiale della burocrazia di un forte Stato unitario. Inoltre, la coscienza di appartenere a un unico stato “greco” (anche se la parola Έλλην fu riscoperta solo nel XVIII secolo) fece sì che i dialetti non venissero percepiti come lingue a sé stanti, ma varianti di una lingua unitaria. Per esempio, i ciprioti parlano un dialetto molto peculiare, ma si considerano parlanti del greco, mentre danesi e norvegesi, pur parlando lingue molto simili, si considerano parlanti di lingue diverse: questo perché Danimarca e Norvegia nei secoli hanno fatto parte di Stati nazionali che consideravano rispettivamente la lingua danese e norvegese un pilastro dell’identità nazionale. Lo stesso successe nell’Europa occidentale, dove il latino fu via via soppiantato dalle lingue neolatine come lingua ufficiale dei nuovi Stati.[7]
A partire dal 1204, anno del tragico sacco di Costantinopoli da parte dei crociati, l’Impero Romano d’Oriente iniziò a perdere terreno. Vennero formati vari stati “latini” governati dalle potenze dell’Europa occidentale, mentre i turchi iniziarono a penetrare in Anatolia. Persino Costantinopoli per 60 anni venne governata dai crociati. A partire dal 1261 gli imperatori bizantini riuscirono a ricostruire parte dell’antico Stato, ma molti territori rimasero lontani da Costantinopoli. La conseguenza fu la nascita di varianti dialettali del greco, soprattutto nei territori rimasti per più tempo distaccati da Costantinopoli. Questa frammentazione linguistica rimase fino al 1830, quando con la nascita del nuovo Stato greco si affermò una nuova koinè neogreca. Bisogna sottolineare che questi dialetti sono varianti non del greco antico, ma del greco medievale. L’unica eccezione è lo zakonico o tsaconico (in greco Τσακώνικα), parlato in parte del Peloponneso orientale e discendente dell’antico dialetto dorico. Tra i dialetti neogreci, i più caratteristici sono i dialetti delle Isole Ionie, fortemente influenzati dal veneziano, il cretese e il cipriota. Quest’ultimo, più conservativo del greco standard (usa l’arcaico “πόθεν είσαι;” invece di “πού είσαι;” per “di dove sei?”), è l’unico non immediatamente comprensibile a tutti i greci.
Proprio nel periodo medievale compaiono le prime testimonianze scritte della lingua popolare, che in futuro verrà chiamata δημοτική [dhimotikì]. I primi documenti in questa lingua si trovano in frammenti del VII e VIII secolo d.C., nella Cronaca di Malàlas (VI secolo), negli scritti dell’agiografo Leonzio (VII sec.) e nel De Caerimoniis dell’imperatore Costantino Porfirogenito (X sec.). I primi testi interamente in “volgare” sono quattro componimenti poetici falsamente attribuiti a Teodoro Prodromo (metà del XII sec.), la Cronaca di Morea (ca. 1300) e soprattutto il poema Digenìs Akrìtas (probabilmente scritto nell’XI sec., ma la cui redazione più antica risale al XIV sec.). Nei nuovi stati “latini” fiorì la letteratura cavalleresca, mentre nella Creta veneziana, in età moderna, furono composte opere come l’Erotocrito e il Sacrificio d’Adamo (XVII sec.). In queste ultime opere si nota sia la lingua popolare sia il dialetto cretese (ad esempio ίντα al posto di τι, interrogativo per “che cosa”).
[7] Anche se prima di parlare davvero di “Stati nazionali” bisognerà aspettare il XIX secolo d.C.
Il greco moderno: lingua e politica
Nel periodo della Turcocrazia il greco sopravvisse, ma venne fortemente influenzato dal turco. Parole turche come σιντριβάνι (fontana), ζόρι (fatica), κέφι (voglia), καβγάς (lite), αλάνι (scugnizzo), μανάβης (fruttivendolo) e ρουσφέτι (favore politico) entrarono nella lingua di tutti i giorni. Molte parti della Grecia, fra cui il Peloponneso, le Isole Ionie, Creta e alcune isole dell’Egeo, vissero anche la dominazione veneziana, che portò anch’essa nuove parole nella lingua greca, ad esempio καρέκλα (sedia, dal veneziano carega) ο ομπρέλα (ombrello).
Tra il XVIII e il XIX secolo, sull’onda delle idee dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, si riaccese il dibattito sulla lingua. Qual era la lingua più adatta per una Grecia al passo coi tempi?
Per la maggior parte dei dotti dell’epoca, come E.Voùlgaris, P.Kodrikàs, N.Doùkas, K. Oikonòmos e i Fanarioti, l’unica lingua adatta per portare l’Illuminismo in Grecia era il greco arcaico, perché la lingua popolare (δημοτική) ormai era diventata “volgare”, piena di prestiti stranieri e incapace di esprimere i nuovi concetti della filosofia, della politica e della scienza. Dall’altra parte, invece, intellettuali come D.Katarzìs, I.Moisiòdax, Vilaràs e Christòpoulos sostenevano il recupero e la promozione della δημοτική, la lingua vera, parlata dai greci tutti i giorni.
Entrambe le soluzioni erano irrealizzabili, bisognava trovare un compromesso. A proporre una “mezza via” fu l’illuminista Adamàntios Koraìs (1748–1833). Egli propose una lingua purificata dagli eccessi popolareschi della δημοτική, ma anche dall’ampollosità del greco arcaizzante dei puristi. Questa nuova lingua fu chiamata “καθαρεύουσα” [katharèvussa], dal greco καθαρεύω (pulire). Alcune parole straniere vennero sostituite da nuove parole, create usando radici del greco antico o parole che nel greco antico avevano un significato diverso. Ad esempio, la parola μινίστρος (ministro) fu sostituita da υπουργός, che in greco antico significava “servitore” o “aiutante”. Questa operazione si chiama prestito semantico: si attribuisce un significato diverso a una parola già presente in un’altra lingua. Altre parole, invece, vennero “resuscitate” dal greco antico: ad esempio δημοκρατία (democrazia), είσοδος (entrata) o αποκλείω (escludere). In questo caso si parla di prestito diacronico. Tra le parole resuscitate ci fu proprio Έλλην[8] (greco): fino ad allora i greci chiamavano sé stessi Ρωμιοί (romani) e la loro lingua ρωμαίικα, mentre Έλλην significava “pagano”, “adoratore di idoli”. In molti casi, Koraìs cercò un compromesso tra puristi e sostenitori del volgare. Per esempio, per la parola “pesce” i primi proponevano ιχθύς, i secondi ψάρι (come nel greco attuale). Koraìs propose invece οψάριον: una parola popolare, ma con una desinenza più “accettabile”, proveniente dalla koinè ellenistica.
I successori di Koraìs, però, presto trasformarono la καθαρεύουσα in una nuova versione di quella lingua arcaizzante e ampollosa derivata dall’Atticismo. I prestiti diacronici e semantici aumentarono a dismisura, e si tentò di riportare in vita desinenze e prefissi che ormai nessuno più usava. Dall’altra parte Diònysios Solomòs (1798–1859), zantiota autore dell’inno nazionale greco e amico di Foscolo, fu il padre della letteratura in δημοτική. Nel suo Διάλογος (Dialogo) si schierò a favore della lingua volgare: l’opera è stata paragonata al De vulgari eloquentia di Dante. Nelle Isole Ionie, fino al 1864 sotto il governo britannico, si formò una scuola di sostenitori del volgare, in contrapposizione con i puristi di Atene.
Nel 1830 nacque il nuovo Stato greco, che scelse come lingua ufficiale proprio la καθαρεύουσα (1834). Questo non servì a placare gli animi, anzi le due fazioni si radicalizzarono sempre di più. Tra il 1830 e il 1880 ad Atene prevaleva la Prima Scuola Ateniese, composta da poeti romantici che scrivevano rigorosamente in καθαρεύουσα. Molti di questi poeti erano discendenti dei Fanarioti, il ricco ceto mercantile greco che godeva di privilegi sotto gli Ottomani. Nel 1856 un decreto governativo stabiliva che nelle scuole l’unica grammatica greca da insegnare dovesse essere quella del greco antico.
La questione esplose di nuovo a cavallo fra il XIX e il XX secolo. La miccia fu la pubblicazione del romanzo “Το ταξίδι μου (Il mio viaggio)” di Yiannis Psychàris, nel 1888. Questa opera è considerata il manifesto del demoticismo. Nella sua opera, Psychàris attaccava ferocemente la καθαρεύουσα, considerandola la causa dell’arretratezza greca. Tentò invece di mettere a sistema la lingua volgare, inventando nuove regole grammaticali. Rifiutava tutte le parole “resuscitate” dai puristi, tentando di sostituirle con parole davvero popolari: finì però per cadere nello stesso errore dei puristi, creando parole “artificiali”. Molti di questi eccessi di Psycharis (ad esempio, περίφτωση invece che περίπτωση, circostanza; e μέλλο invece di μέλλον, futuro) non dureranno nella lingua greca. Dalla parte di Psycharis si schierarono altri intellettuali e letterati, chiamati ironicamente scapigliati (μαλλιαροί). In opposizione alla Prima Scuola Ateniese nacque la Nuova Scuola Ateniese, guidata da Kòstas Palamàs.
All’alba del XX secolo le guerre contro gli Ottomani e altri stati balcanici infiammarono il nazionalismo, che doveva competere con socialismo e comunismo per conquistare le masse. La situazione precipitò nel 1901, quando, su iniziativa della regina Olga, di origine russa, fu pubblicata una versione in volgare dei Vangeli. Seguirono violenti scontri nel centro di Atene, organizzati dagli studenti conservatori dell’Università di Filosofia, sobillati dal professore “difensore della lingua” Georgios Mistriòtis. Gli scontri causarono da 8 a 11 morti e 70 feriti, e la rivista Akròpolis dovrà sospendere la pubblicazione dei vangeli in volgare. Due anni dopo, nel 1903, a suscitare la violenza studentesca fu la rappresentazione in volgare dell’“Oreste” di Eschilo al Teatro Nazionale di Atene. L’esercito dovette intervenire e alcuni soldati, presi dal panico, spararono sui manifestanti, causando 2 morti e 7 feriti.
Nel 1911 il governo del liberale Eleuthèrios Venizèlos stabilì che la lingua ufficiale dovesse essere “quella nella quale sono scritte le leggi”, ovvero la καθαρεύουσα. Nel 1917, però, lo stesso Venizelos decise di introdurre l’insegnamento della δημοτική nei primi tre anni della scuola dell’obbligo. Tra le letture obbligatorie venne introdotto il romanzo in volgare “Τα ψηλά βουνά” (le alte montagne). Questo di nuovo suscitò scandalo fra i conservatori. In quegli anni la Grecia stava uscendo dallo “Scisma Nazionale”, che contrapponeva il riformista Venizelos al conservatore re Costantino I. Quando i realisti tornarono al potere, nel 1920, abolirono le riforme linguistiche del 1917 e vietarono le letture in volgare come Τα ψηλά βουνά, accusato di essere antireligioso e diseducativo.
Per tutto il XX secolo le sorti della lingua greca dipesero dalle vicende politiche del Paese. Nel 1930 Venizelos, tornato al potere, introdusse la lingua volgare come materia d’insegnamento in tutte le classi dell’istruzione primaria. La prima grammatica della δημοτική fu pubblicata nel 1941, durante l’occupazione nazifascista, dal linguista Manòlis Triantafyllìdis. Durante la guerra civile greca (1946–1949) fare concessioni alla δημοτική significava essere considerati antigreci e comunisti. Dopo la sconfitta dei comunisti, nel 1952 il nuovo governo introdusse di nuovo la καθαρεύουσα come lingua ufficiale. Nel 1964 Geòrgios Papandrèou reintrodusse il volgare in tutte le classi dell’istruzione primaria e definì l’uguaglianza fra καθαρεύουσα e δημοτική in tutte le altre classi. Nel 1967, però, la Grecia cadde sotto la sanguinaria dittatura dei colonnelli. Essi reintrodussero la καθαρεύουσα come unica lingua in tutti i settori della vita pubblica. L’ampollosità e la vuota retorica della lingua imposta dai generali, oltre alla durezza del regime, screditarono definitivamente la καθαρεύουσα agli occhi dei greci. Tornata la democrazia, fra il 1976 e il 1977 la δημοτική divenne la lingua ufficiale dello Stato greco. Nel 1982 il socialista Andrèas Papandrèou abolì il sistema politonico.
Si può dunque dire che il volgare abbia vinto? Probabilmente sì, ma la καθαρεύουσα non sparì senza lasciare tracce. Molte delle parole “resuscitate” dal greco antico oggi fanno parte della lingua di tutti i giorni, e hanno soppiantato il corrispettivo “popolare”. Non si dice più µινίστρος ma si dice υπουργός. Altre volte, invece, ha prevalso la parola popolare, ma la parola antica è rimasta nei nomi composti: ad esempio, “acqua” si dice νερό ma “acquedotto” si dice υδραγωγείο. Per definire nuovi concetti assenti nel mondo classico sono state create parole usando suffissi e radici del greco antico: per esempio τηλεόραση (televisione) o ποδήλατο (bicicletta). Altre volte, invece, l’operazione non è riuscita e le parole straniere hanno prevalso: ad esempio “ombrello” si dice οµπρέλα e non αλεξιβρόχιον. La questione della lingua è stata una tragedia che ha diviso il Paese per secoli, ma ha anche contribuito alla grande varietà del greco moderno.
Conclusione
Il greco è una delle lingue più antiche del mondo. La sua storia rappresenta in pieno la mutevolezza delle sorti di una civiltà. Dai palazzi micenei alla Troika, la lingua greca ha sempre accompagnato la storia della Grecia e dell’Occidente. Ha conosciuto momenti di splendore e momenti di decadenza, è stata veicolo di messaggi di pace e di guerra, di diverse religioni e idee politiche. Come tutte le lingue, anche il greco è cambiato moltissimo nei millenni, e un greco moderno farebbe fatica a farsi capire nell’Atene di Pericle. Il fascino della lingua greca, però, viene dalla sua continuità. Nelle sue varie forme, il greco si parla ininterrottamente da più di tremila anni. Come diceva il poeta Odyssèas Elýtis “il fatto che il poeta greco dica ancora oggi cielo (ουρανός), mare (θάλασσα), sole (ήλιος), luna (σελήνη) e vento (άνεμος) come dicevano Saffo e Archiloco non è una cosa da poco”.
Bibliografia
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[8] Greco moderno Έλληνας