Leopoli: a memoria delle tragedie del Novecento
Leopoli (in tedesco Lemberg, in ucraino L’viv, in polacco Lwow) è una città ucraina di 729.842 abitanti. A lungo parte del regno di Polonia, nel 1772 passò sotto la monarchia asburgica e venne incorporata nel Regno di Galizia e Lodomeria, di cui facevano parte anche il granducato di Cracovia e il ducato di Oświęcim, che da allora assunse il tristemente noto nome Auschwitz. Nonostante la povertà endemica della regione, la dominazione austriaca fu decisamente benevola e Leopoli ebbe una crescita impressionante, da 30.000 abitanti nel 1772 a ben 206.100 nel 1910. La città divenne un grande centro culturale. Nel 1881 diede i natali al celebre intellettuale liberale Ludwig von Mises.
Come l’Impero di cui faceva parte, Leopoli era una città multietnica. Secondo il censimento austriaco del 1910, il 51% degli abitanti della città erano cattolici, il 28% ebrei e il 19% appartenevano alla Chiesa greco-cattolica ucraina. Linguisticamente, l’86% della popolazione della città parlava polacco, mentre l’11% preferiva l’ucraino.
Ma l’età dell’oro della sicurezza (cit. Stefan Zweig) stava per finire. Su Leopoli incombevano le nubi cupe del nazionalismo. Dopo la prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero Asburgico, la città passò sotto la nuova Repubblica di Polonia e divenne subito teatro degli scontri fra nazionalisti polacchi e ucraini. I secondi, tra il 31 ottobre e il primo novembre 1918, proclamarono la Repubblica Popolare Ucraina Occidentale con Leopoli capitale. Gli scontri fra i fucilieri ucraini Sich e i polacchi durarono fino al luglio 1919. Nel 1920 Leopoli riuscì a resistere all’Armata Rossa. Sotto la Polonia la città tornò ad essere un centro culturale di spessore, ma la minoranza ucraina, a differenza del periodo austriaco, veniva ostracizzata. Il peggio, però, doveva ancora venire.
Il primo settembre 1939 i nazisti invasero la Polonia assieme ai Sovietici. Leopoli venne occupata dall’Armata Rossa, che tentò di ucrainizzare la città. Nel 1941 arrivò la Wehrmacht e l’NKVD in rotta si rese responsabile di incredibili massacri, tanto da impressionare persino i nazisti, i quali ovviamente non volevano essere da meno. A questo punto, gli ebrei erano arrivati ad essere il 32% della popolazione. Tra il giugno e il luglio del 1941 nazisti e i nazionalisti ucraini scatenarono i terribili pogrom di Leopoli. La popolazione inferocita e le Einsatzgruppen massacrarono circa 5000 ebrei. La celebre immagine di una donna terrorizzata che fugge dagli assassini vale più di mille parole. Nel novembre 1941 i tedeschi crearono il ghetto di Leopoli, in cui fino a 120.000 persone vivevano ammassate in condizione igieniche disperate. Nella tragica soluzione finale quasi tutti gli ebrei furono uccisi nei campi di sterminio di Belzec e Janowska. Dopo la guerra rimanevano solo 200–800 ebrei, l’1% della popolazione pre-bellica. Mancano le parole per descrivere questa tragedia.
Il 27 luglio 1944 i russi “liberarono” Leopoli. Tra virgolette, perché quella che seguì fu tutt’altro che un’età dell’oro. La città fu inglobata nell’URSS, più precisamente nella Repubblica Socialista d’Ucraina. Seguì l’ennesima pulizia etnica. I russi organizzarono uno “scambio di popolazione” (eufemismo che nasconde l’espulsione forzata di migliaia di persone dalla terra in cui avevano le loro radici) per espellere la popolazione polacca da Leopoli e “ripopolarla” con russi e ucraini. I polacchi si trasferirono a Breslavia, a sua volta epurata dalla minoranza tedescofona.
Secondo varie stime, tra stermini ed epurazioni Leopoli aveva perso dall’80 al 90% della popolazione pre-1939.
Seguirono 46 anni di feroce dittatura, in cui la popolazione era schiava di un regime repressivo e disfunzionale, la cui inefficienza culminò nel disastro di Chernobyl. Dal 1991 Leopoli fa parte dell’Ucraina indipendente, su cui però incombe la minaccia di Putin.
Il nuovo millennio è appena iniziato e oggi l’istituzione sovranazionale e multietnica non è più l’Impero Asburgico ma l’Unione Europea, in cui l’Ucraina spera di poter entrare. Noi europei siamo chiamati a un grande compito: fare del Vecchio Continente il simbolo della libertà, della tolleranza e della pace. Per farlo non possiamo dimenticare le tragedie del Novecento. Abbiamo visto a cosa porta farsi assorbire dall’ideologia, sia essa il nazionalismo, il nazifascismo o il comunismo. La storia ci mostra quali sono gli errori da non ripetere. Saremo all’altezza di questa sfida? Dobbiamo almeno provarci, ce lo chiedono i morti di Leopoli.