Massimiliano d’Asburgo e i dipendenti pubblici

Andrea Pradelli
4 min readMay 2, 2021

Nel febbraio 1857 il governo austriaco nel Lombardo-Veneto era sotto attacco. Dopo le cinque giornate, lo stato d’assedio si prolungò fino al 1854. Nonostante i progressi in campo economico e sociale, i sudditi italiani sembravano sempre più ostili al governo di Vienna.

Di fronte a questa situazione, l’imperatore Francesco Giuseppe tentò un’ultima carta: spedire in Italia come nuovo governatore il fratello Massimiliano. Liberale e di grande cultura, il nuovo Governatore Generale aveva risieduto per tanti anni a Trieste come ufficiale della Marina e aveva molto a cuore gli italiani. Governò il Lombardo-Veneto per due anni, fino allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza. La sua amministrazione fu improntata al liberalismo: ridusse la censura e il controllo poliziesco, tentò di riformare l’amministrazione, fu sempre presente ad ogni calamità naturale che colpisse il territorio e attento alle esigenze di tutti. Il suo sogno, però, era dare al Lombardo-Veneto un’ampia autonomia, seppur all’interno dell’Impero. L’entusiasmo nel Regno fu grande e molti si riavvicinarono al governo austriaco: patrioti come Stefano Jacini e Cesare Cantù furono chiamati a collaborare con l’amministrazione di Massimiliano, tanto che Cavour considerava quest’ultimo il suo peggior nemico. Purtroppo per l’Austria, i progetti di riforma di Massimiliano furono ostacolati dalla burocrazia viennese, e la situazione precipitò fino allo scoppio della Seconda Guerra d’Indipendenza.

Sono particolarmente interessanti (e, ahimè, attuali) le raccomandazioni di Massimiliano ai dipendenti dell’amministrazione pubblica. Ecco alcuni estratti, tratti dalla “Gazzetta Provinciale di Brescia” di martedì 24 agosto 1858:

  • (…)Esigo, dunque, da tutti gl’impiegati senza eccezione (lo ripeto con insistenza) l’adempimento dei loro doveri, cioè verso di me la verità intera e nuda; verso il pubblico un contegno manieroso, ma fermo: dalla loro coscienza la giustizia; dal loro onore la diligente e coscienziosa trattazione degli affari. Tutto ciò, ed oltre a ciò, zelo instancabile e fedele per il servigio, il quale sarà poi guiderdonato (ricompensato ndt) di certa preferenza nel caso di promozioni. Fino ad oggi, ho lasciato tempo a me stesso ed agli Uffizj della pubblica amministrazione di studiare accuratamente i fini ed i mezzi per conseguirli; allo studio della riflessione segua ora il periodo dell’azione. (…)”.
  • “(…) Ognuno dovrà prima di tutto aver sempre e rigorosamente presente agli occhi del pensiero i precetti dell’equità e della legalità. Aborro l’abuso e l’arbitrio e li saprò certamente scoprire e punire. Oltre a ciò, è di sommo rilievo il non deviare mai da una diritta logica e dalla netta chiarezza delle idee, specialmente in questi paesi, in cui la rapida intelligenza e la squisitezza del tatto morale non son un privilegio di pochi, ma sì una dote quasi comune. Le Autorità, camminando coll’equità e col ragionamento le vie legali, dovranno opporre una calma dignitosa ed un’immobile fermezza ad ogni tentativo d’illegalità e di prevaricazione. Come non tollererò l’arbitrio, così neppure la debolezza: anch’essa trascina ad illegalità: chi v’incorre per connivenza si merita un castigo e gli verrà pronto; chi vi ha una tendenza congenita o, se l’è lasciata inoculare nel sangue, non è idoneo ai pubblici uffizj, e ne verrà tosto rimosso. Per la fermezza, molte difficili congiunture passarono senza conseguenze dannose; e ad essa bastò molte volte il solo mostrare, pur non l’adoperando, la propria forza. (…)”.
  • “(…) per ciò che concerne la trattazione degli affari, desidero che gli impiegati dello Stato servano di modello ai Corpi rappresentativi, nelle forme dello scrivere semplice, ma succoso e robusto. Nè posso lasciare senza biasimo l’abitudine, purtroppo generalizzata di stendere relazioni assai prolisse, le quali rammentano il detto “che dietro l’ampollosità delle frasi sta nascosta la superficialità”. (…)”.
  • “(…) userò una rigida severità verso coloro i quali, particolamente verso le autorità superiori, spacciano gli affari con formule inconcludenti al solo fine di procrastinare la decisione in merito“.

Queste raccomandazioni riflettono lo spirito dell’amministrazione pubblica austriaca, e assomigliano molto a quelle che dava l’imperatore Giuseppe II meno di un secolo prima. Il funzionario austriaco doveva essere diligente, equilibrato ed efficiente, e servire lo Stato era una forma di “patriottismo imperiale”. Lo stesso Imperatore, da Giuseppe II a Francesco Giuseppe, si considerava “il primo servitore dello Stato”. Da 160 anni gli austriaci hanno lasciato il Lombardo Veneto e Massimiliano finirà fucilato in Messico, ma le sue raccomandazioni sembrano scritte ieri.

FONTI

Massimiliano d’Asburgo (1864). Il governatorato del Lombardo-Veneto (1857–1859). Edizione italiana tradotta da Roberto della Seta. Studio Tesi, Pordenone,1992.

Quaresimi, L. (2018). ‘Lombardo-Veneto, istruzioni per l’uso’. Popolis. Disponibile al link: https://www.popolis.it/lombardo-veneto-istruzioni-per-luso/?fbclid=IwAR1AnS4SSVHfs6QJ8ebYP4DFm8xyhDgiFo-zS7DR-cU6xbO0HKHsfrPExig

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Andrea Pradelli

PhD student in Economics at Trento University. Passionate about politics, economics, languages and history, especially the Habsburg Empire.