Napoleone: a voi l’ardua sentenza

Andrea Pradelli
11 min readMay 5, 2021

Oggi è una grande ricorrenza storica. Duecento anni fa, nell’esilio di Sant’Elena, moriva Napoleone Bonaparte. Quando Manzoni diceva “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza?” si riferiva a noi. Per me è un compito troppo gravoso: non sono uno storico e non sono nemmeno imparziale, da fan degli Asburgo. Mi limiterò a riassumere il dibattito storiografico.

Dopo la débâcle di Waterloo, Napoleone fu dichiarato “prigioniero di guerra” comune di Austria, Prussia, Russia e Gran Bretagna, una sentenza senza precedenti. Nonostante ciò, non finì impiccato, ma fu destinato a un esilio “dorato” nell’Isola di Sant’Elena. L’esilio lo rese un martire: messe da parte le asprezze di quasi vent’anni di guerre, Napoleone divenne leggenda.

Duecento anni dopo il generale corso divide ancora, tra chi lo considera “l’Illuminismo a cavallo” e chi lo paragona a Hitler. Lo si può odiare o amare, ma non ignorare.

Napoleone Il Grande

Tra i più grandi ammiratori di Napoleone c’è lo storico inglese Andrew Roberts. Il titolo della sua biografia di Napoleone è eloquente: Napoleone il Grande. L’Imperatore dei Francesi meriterebbe lo stesso titolo di Federico di Prussia, Alessandro Magno, lo Zar Pietro. Napoleone sarà pure stato sconfitto, ma oggi

“Il programma di Napoleone, di un’Europa unita politicamente e controllata da una burocrazia centralizzata (allora guidata dalla Francia, oggi da Bruxelles), di carriere aperte al talento e di un corpo di leggi scritte, ha sconfitto l’assunzione di Wellington di un’Inghilterra indipendente e sovrana, della distinzione fra le classi e della superiorità del common law inglese, basato su precedenti stabiliti, spesso antichi”.

Napoleone, per Roberts, è il fondatore della Francia moderna. Ha preso un paese quasi fallito dopo la Rivoluzione, con un’inflazione ai livelli di Weimar, e l’ha trasformata nella prima potenza militare europea. La sua eredità istituzionale è giunta fino ad oggi. Il suo capolavoro è il Codice civile, o Code Napoléon, approvato nel 1804. Adottato almeno parzialmente da 40 Paesi, il Codice civile è il prodotto finale della cultura illuminista: uguaglianza di fronte alla legge, diritti di proprietà, tolleranza religiosa, meritocrazia e diritto a un’amministrazione efficiente diventano legge. Dopo 10 anni di infinite discussioni, finalmente la Francia riusciva a sostituire 42 codici regionali con un solo Codice civile.

Il prezzo da pagare fu il colpo di Stato del 18 brumaio, ma se Napoleone si fosse attenuto alla Costituzione del 1795 ci sarebbero voluti nove anni per ogni riforma. Citando Jean Tulard, il massimo esperto francese di storia napoleonica, in quel momento la Francia aveva bisogno di un Cincinnato, un dittatore che prendesse tutti i poteri e, dopo aver portato a termine il suo progetto, tornasse al suo aratro.

Oltre al Codice civile, Napoleone ha rivoluzionato il mondo dell’istruzione. Nel periodo del Consolato (1802–1804) nacquero i licei, istituzioni pubbliche di istruzione secondaria aperte a tutti, e le grandes écoles per le élites. Le écoles normales formeranno la classe dirigenti francesi fino ad oggi, mentre l’École Politechnique garantirà alla Francia la supremazia militare e scientifica per molti decenni. L’Università di Francia fu fondata nel 1808, come organizzazione centrale con autorità sulle diverse Università francesi, ma anche sull’istruzione primaria e secondaria. La cultura aveva un ruolo di primo piano per Napoleone, e fu così che nella campagna d’Egitto assieme ai soldati partì anche un esercito di studiosi. I risultati non mancarono: non solo fu scritto un tomo di 24 pagine, Descrizione dell’Egitto, ma fu scoperta la Stele di Rosetta, che permise finalmente di decifrare i geroglifici.

Lo Stato francese venne riformato secondo un modello rigidamente centralista, in cui il potere di Parigi era rappresentato nelle province dal prefetto, di nomina governativa, a cui erano sottoposti sottoprefetti e sindaci sempre nominati dal governo. Questo sistema, non privo di difetti, superava quei privilegi feudali e vescovili che rendevano le leggi dello Stato inapplicabili a livello locale. Vennero introdotti il Consiglio di Stato, incaricato di redigere le leggi da presentare alle assemblee rappresentative, la Corte dei conti e le camere di commercio, e venne introdotto ovunque il sistema metrico. Dal punto di vista religioso, Napoleone combatté i privilegi della Chiesa, ma soprattutto emancipò gli ebrei. Dovunque arrivassero le armate napoleoniche, i ghetti venivano chiusi e gli ebrei acquistavano pieni diritti civili. Restrizioni come la stella gialla, ancora applicata nello Stato pontificio, venivano aboliti. Parigi fu riempita di giardini, fontane, gallerie e monumenti, ma anche opere fondamentali come i quais[1] della Senna e un moderno sistema fognario. L’emblema della meritocrazia, sostiene Roberts, fu la creazione della Legione d’Onore, un’onorificenza accessibile a tutti indipendentemente dal rango.

Napoleone non fermò la Rivoluzione, ma la stabilizzò consolidando i risultati più importanti e frenandone gli eccessi. Come disse di fronte al Consiglio di Stato:

“Ne abbiamo avuto abbastanza del romanzo della rivoluzione. Ora dobbiamo scriverne la storia, selezionando solo quei principi che sono reali e applicabili, non quelli che sono speculativi e ipotetici. Seguire un altro corso oggi significherebbe filosofare, non governare”.

Così furono aboliti l’assurdo culto dell’Essere Supremo e la settimana da dieci giorni, fu fermata la guerra civile in Vandea e fu permesso il ritorno degli émigrées in fuga dal terrore, spesso tra gli uomini più brillanti del Paese. Il Concordato con la Chiesa Cattolica del 1801 permise ai fedeli di tornare in chiesa senza essere accusati di opera controrivoluzionaria e garantì il ritorno della coesione sociale. Dal punto di vista economico, Napoleone sostenne la nascita della Banca di Francia, che aveva il monopolio dell’emissione del franco d’argento, detto germinale. Questo permise di stabilizzare l’inflazione, che nel 1795 era arrivata al 3500%.

Roberts respinge anche l’accusa più comune, cioè che Napoleone fosse un guerrafondaio. Secondo lo storico inglese, Napoleone iniziò solo due guerre, quella contro Spagna e Portogallo e quella contro la Russia, che però nei suoi piani avrebbe dovuto essere una guerra di confine, non paragonabile alla Vernichtungskrieg[2] hitleriana. Le altre guerre vennero dichiarate dai nemici della Francia: l’Inghilterra nel 1803, l’Austria nel 1805 e nel 1809, la Prussia nel 1806, le grandi coalizioni nel 1813, 1814 e 1815. Questo non giustifica la morte di 3 milioni di soldati e 1 milione di civili nelle guerre rivoluzionarie e Napoleoniche, ma non fa di Napoleone l’Hitler dell’800. A differenza del Führer, Napoleone aveva un forte senso dell’umorismo: quando uno psicopatico entrò all’Opera e disse di essere innamorato dell’Imperatrice, egli rispose “La tua scelta del confidente è abbastanza singolare”.

Dal punto di vista militare, Napoleone mette d’accordo quasi tutti, persino il suo grande avversario, il duca di Wellington. Fu l’inventore della guerra totale, cioè la ricerca della vittoria ad ogni costo mobilitando tutte le forze del Paese. Vinse 46 battaglie su 60, tra cui capolavori tattici come Marengo (1800) e Austerlitz (1805), ed è tuttora studiato dai massimi esperti militari

L’uomo dietro al mito

Non tutti, però, concordano con l’immagine leggendaria di Napoleone. Lo storico anglo-polacco Adam Zamoyski, autore di “Napoleone: l’uomo dietro il mito”, respinge la tesi del “grande uomo”. Nel suo libro, egli riconosce le grandi doti di Napoleone, come la memoria, la passione per i libri, lo stankanovismo e l’attenzione maniacale al dettaglio. Fu il duro lavoro, non il genio, a portare un uomo ordinario come Napoleone così in alto.

Zamoyski descrive Napoleone come un uomo insicuro, che agiva principalmente per liberarsi delle sue debolezze. Egli sarebbe rimasto per tutta la vita un uomo provinciale, attaccato ai semplici valori della piccola nobiltà corsa. Quando arrivò in Francia per studiare, all’età di nove anni, non sapeva una parola di francese e veniva puntualmente preso in giro dai compagni. Arrivato al potere, non aveva quasi nessuna esperienza sessuale e le relazioni con le donne erano problematiche. In gioventù fu indipendentista corso, e inizialmente pensò che la Rivoluzione francese fosse un’occasione per l’indipendenza della Corsica. Presto cambiò idea e addirittura nome: da Napoleone di Buonaparte a Napoléon Bonaparte, molto più francese.

Formato alla scuola militare, Napoleone credeva soprattutto a un governo forte capace di imporre legge ed ordine. Non amava i lunghi dibattiti legislativi, tanto che quando l’abate Sieyès nel 1799 gli presentò il suo progetto di Costituzione, l’allora console gli rise in faccia.

Fin dai primi successi in Italia iniziò ad esagerare le sue vittorie e minimizzare le sconfitte, o attribuirle a colpe altrui. Per Zamoyski, Napoleone era un imbroglione, truffaldino e bugiardo, come gli rinfacciò la madre mentre era in esilio all’Elba. Ad esempio, prima della Campagna di Russia promise ai polacchi l’indipendenza, ma era solo una falsa illusione per assicurarsi carne da cannone e tasse. Le sue memorie di Sant’Elena sono ricche di esagerazioni o errori grossolani, dove le sconfitte vengono scambiate per vittorie. Era cresciuto con il mito di Annibale, Alessandro e Carlo Magno, ma dopo aver letto Temistocle credette di essere un’altra figura leggendaria, che univa i pregi di tutti i grandi della storia: Napoleone. Come ricorda Zamoyski, “dal sublime al ridicolo il passo è breve”.

Il tiranno

Charles Esdaile, autore de Le guerre di Napoleone, respinge totalmente le tesi di Roberts. Il sistema napoleonico, per quanto efficace e moderno, aveva solo uno scopo: fare della Francia una macchina da guerra. L’Impero napoleonico non aveva niente in comune con l’Unione Europea, ma era un uno strumento per la supremazia francese. Non c’era libertà di commercio, né all’interno, a causa delle tariffe sui beni tedeschi e italiani, né all’esterno, per il durissimo blocco continentale anti-inglese, che mandò mezza Europa sul lastrico. A differenza dell’UE, l’Impero napoleonico si impose con la forza, stravolgendo confini secolari e distruggendo le identità locali.

Napoleone ridusse fortemente la libertà di stampa: a Parigi i giornali passarono dai 60 del 1799 ai 4 del 1814, totalmente asserviti all’Imperatore dei Francesi. Disprezzava la democrazia e il parlamento, e non esitò a sparare sulla folla. Già nel 1795, da semplice Maggiore Generale della piazza, represse senza pietà una rivolta realista causando 300 morti. Il regime napoleonico aveva molti aspetti dello stato di polizia. Come evidenzia Paul Bertaud, professore emerito della Sorbona ed esperto della Rivoluzione Francese, sotto Napoleone le spie erano ovunque. A dirigerle era l’onnipotente Joseph Fouché, ministro della polizia segreta, che dopo il Congresso di Vienna continuò a fare lo stesso lavoro per i Borbone. Nemmeno gli artisti erano immuni dalla censura, bastava una battuta sbagliata per troncare la carriera di un regista.

Con il Concordato, Napoleone rese la Chiesa uno strumento dello Stato, e si apprestava a fare lo stesso con gli ebrei: come riporta Esdaile, egli voleva unificarli in un’unica istituzione religiosa, facilmente controllabile dal governo. Inoltre, cancellò i debiti contratti dai gentili verso gli ebrei e rese loro difficile mantenere le tradizioni religiose e culturali.

Anche le innovazioni più acclamate sarebbero, per Esdaile, strumenti del militarismo napoleonico. La riforma della Gendarmerie fu utile per trovare coscritti per le guerre di aggressione, e tra i poliziotti riformati non era raro l’uso della tortura. I licei e le Écoles Politechniques servivano a sfornare generali, e la repressione del brigantaggio servì anche a trovare nuovi soldati.

Nei territori conquistati (o meglio, alleati) il fiscalismo estremo, la coscrizione obbligatoria e i metodi repressivi fomentarono il malcontento. Per Esdaile, fu in opposizione a Napoleone che in Spagna si affermò un socialismo radicale, che polarizzò la società fino allo scoppio della Guerra Civile Spagnola un secolo dopo. Le repressioni napoleoniche della guerrilla spagnola ispirarono il celebre dipinto Il 3 maggio 1808 di Francisco Goya.

La popolazione insorse in tutti i Paesi occupati. In Italia spiccano le Pasque veronesi del 1797, la Rivoluzione Napoletana guidata dai Sanfedisti nel 1799 e il linciaggio popolare del ministro Prina a Milano nel 1814. In Tirolo, allora annesso forzatamente alla Baviera, echeggia ancora la leggenda di Andreas Hofer, che guidò una violenta rivolta antinapoleonica e fu fucilato a Mantova nel 1810. Da liberatori, i francesi iniziarono ad essere visti come oppressori stranieri. In Germania e Italia cominciò a svilupparsi il nazionalismo. Se nel breve periodo questa nuova ideologia portò all’unificazione nazionale, un secolo dopo fu tra le principali cause delle due Guerre Mondiali.

Anche l’altra eredità di Napoleone, il centralismo amministrativo, ha molte ombre. Nei Paesi del Sud Europa, come la Spagna, esso facilitò la nascita di regimi repressivi e il mantenimento dello status quo. Secondo molti politologi, il federalismo tedesco e svizzero sarebbe un sistema di governo più efficace, specie per paesi disomogenei come Spagna e Italia. Il centralismo napoleonico alienò baschi e catalani, generando questioni ancor oggi aperte. Nel 1944 il futuro Presidente della Repubblica Luigi Einaudi scrisse una lettera dal significato inequivocabile, “Via il prefetto!

Napoleone non si fece scrupoli a reintrodurre la schiavitù nelle colonie nel 1802 e represse duramente la rivoluzione haitiana. Il capo dei rivoluzionari e primo presidente di Haiti, Toussaint Louverture, fu condannato a una dura prigionia in Francia. Prima di morire disse: “Rovesciandomi avete abbattuto a Santo Domingo solo il tronco dell’albero della libertà dei neri; ma esso risorgerà dalle radici, perché sono profonde e numerose”. Oltre a questo, sottolinea Esdaile, il suo Codice civile cancellò molti diritti ottenuti dalle donne con la Rivoluzione.

Il generale corso fu maestro nell’arte della propaganda, modello per Hitler, Mussolini e Stalin. Creò per sé l’immagine di Imperatore illuminato e comandante imbattibile, anche per convincere la popolazione a fare sacrifici per lui. Sfruttò simboli della simbologia classica, come l’aquila imperiale, e a Milano mise in scena una costosissima Naumachia nell’arena appena inaugurata. La sua incoronazione a Notre Dame nel 1804 costò ben 8,5 milioni di franchi. Mise sul trono dei Paesi alleati fratelli e cugini, e assegnò ben 3500 titoli nobiliari. Prima di diventare Imperatore, cercò l’approvazione popolare con un plebiscito palesemente manipolato. In più occasioni, sia in Egitto che in Russia, abbandonò le truppe alla mercé di malattie e freddo per tornare in Francia.

Per l’ex premier francese Lionel Jospin, Napoleone tradì la Rivoluzione e danneggiò la Francia. Con le sue parole: “Napoleone fu un ovvio fallimento- un male per la Francia e il resto d’Europa. Quando fu messo alla porta, la Francia era isolata, sconfitta, occupata, dominata, odiata e più piccola di prima. Oltre a ciò, Napoleone soffocò le forze di emancipazione svegliate dalle rivoluzioni francese e americana e consentì la sopravvivenza e la restaurazione delle monarchie”.

Giudizio finale

Dopo questa lunga rassegna, il giudizio spetta a voi: Napoleone fu un eroe, un tiranno o un uomo ordinario?

FONTI

Einaudi, L. (1944, 17 luglio) “Via Il prefetto!”. L’Italia e il secondo risorgimento. Supplemento alla Gazzetta Ticinese. Disponibile al link: http://www.polyarchy.org/basta/documenti/einaudi.1944.html

Esdaille, C. and Roberts, A. ‘Debate: Was Napoleon great?’ (2015). British Journal for Military History. 1 (3): 96–114

Fisher, H.A.L. (2001). ‘The legacy of Napoleon‘. New England Review. 22(4): 186–199

Mascilli Migliorini, L. (2020) L’età moderna. Una storia globale. Gius.Laterza & Figli Spa, Bari-Roma. pp. 268–276

‘Napoleon: Hero or Tyrant?’ (2018, 1 maggio). Five minute History. Disponibile al link: https://fiveminutehistory.com/napoleon-hero-or-tyrant/

Roberts, A. (2014) ‘Why Napoleon merits the title “The Great”?’. HistoryExtra. Disponibile al link: https://www.historyextra.com/period/georgian/why-napoleon-merits-the-title-the-great/#:~:text=Napoleon%20represented%20the%20Enlightenment%20on,aspect%20of%20his%20subjects'%20lives.

Roberts, A., Zamoyski, A., Paxman, J. (2014, 24 novembre) Napoleon the Great? A debate with Andrew Roberts, Adam Zamoyski and Jeremy Paxman [Video]. Youtube. Disponibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=bxQ4TcTcPbI&t=2846s

Scurr, R. (2011, 11 ottobre). ‘‘Napoleon: A life’ Review: He thought he was Napoleon’. The Wall Street Journal. Disponibile al link: https://www.wsj.com/articles/napoleon-a-life-review-he-thought-he-was-napoleon-1539308134

Turrin, Silvia C. (2020, 30 novembre). ‘Toussaint Louverture, da discendente degli schiavi a leader della rivoluzione di Haiti’. Società Missioni Africane. A servizio dell’Africa. Disponibile al link: https://www.missioniafricane.it/toussaint-louverture-da-discendente-di-schiavi-a-leader-della-rivoluzione-di-haiti/

Zamoyski, A. (2019, 10 novembre) Adam Zamoyski: Napoleon. The man behind the myth. [Video]. Youtube. Disponibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=WM0wiFkEMPk&t=1931s

[1] lungofiume

[2] Guerra di annientamento, dove la razza ariana avrebbe dovuto sterminare o rendere schiave le razze inferiori (ebrei e slavi).

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Andrea Pradelli

PhD student in Economics at Trento University. Passionate about politics, economics, languages and history, especially the Habsburg Empire.