Pareto: chi era costui?

Andrea Pradelli
5 min readDec 24, 2020

Da Tra I Leoni, edizione cartacea novembre 2018

Chiunque abbia seguito un corso di microeconomia avrà sentito parlare di “ottimo paretiano” o “Pareto-efficienza”, una situazione in cui nessuno può migliorare la propria condizione senza danneggiare quella degli altri. Non tutti, però, sapranno che dietro a questi concetti c’è un celebre economista italiano, Vilfredo Pareto, nato a Parigi nel 1848 da una famiglia genovese in esilio e morto a Céligny nel 1923.

Il libro L’ignoranza e il malgoverno, recentemente pubblicato dal Direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni Alberto Mingardi, permette di addentrarci a pieno nel pensiero paretiano. Il testo contiene una collezione di lettere scritte da Pareto a Liberty, la principale rivista dell’anarchismo americano a cavallo fra ‘800 e ‘900, diretta da Benjamin Tucker.

Con un passato da manager di alcune ferrovie concesse in Toscana e da consigliere comunale a San Giovanni Valdarno, l’economista genovese è stato definito “liberista estremista”: non ha alcuna fiducia nella politica, per lui intrinsecamente corrotta, e osteggia ogni forma di protezionismo, vedendo invece nel libero scambio il miglior disincentivo alle guerre. Prendendo spunto dall’efficace campagna dell’Anti-Corn Law League in Inghilterra, che aveva ottenuto l’abolizione dei dazi sul grano, Pareto ritiene che sia compito di ogni liberale istruire il popolo per convincerlo della bontà delle proprie idee.

Nelle lettere a Liberty egli descrive la situazione dell’Italia negli ultimi due secoli dell’Ottocento, quando arbitro della politica nazionale è Francesco Crispi. Il quadro che ne risulta è decisamente negativo, e l’autore non risparmia critiche contro l’esecutivo e la classe dirigente italiana. Il principale problema del Paese, secondo Pareto, è l’eccessivo peso del governo nell’economia. Le tasse e la spesa pubblica sono troppo alte, e questa è la principale causa del malessere dei cittadini. Il ritorno di fiamma del protezionismo, che investe tutta l’Europa continentale, aggrava ulteriormente la situazione: agitando la minaccia di conflitti con la Francia, il governo è libero di aumentare le spese militari a dismisura (nel bilancio statale del 1888–90 arriveranno al 32,5% del totale) e di incrementare la propria sfera di influenza. Dal 1887 in poi Crispi aumenta il peso del dazio medio dal 3,5% al 60%, per favorire le industrie italiane in particolare contro quelle francesi. Viene ad esempio creata l’acciaieria di Terni per costruire piastre corazzate per le navi militari italiane, ma questo, sottolinea Pareto, genera una grande speculazione ai danni del Paese: il governo fornisce sussidi di ogni tipo e compra l’acciaio al doppio del prezzo. Allo stesso modo i dazi imposti sulla ghisa favoriscono gli altiforni per la produzione della stessa, ma le tariffe ferroviarie rendono difficile avere combustibile per la pudellatura (la trasformazione della ghisa in ferro, ndr). Il protezionismo, inoltre, avvantaggia le industrie settentrionali, ma allo stesso modo genera un crollo dei prezzi agricoli danneggiando gli agricoltori meridionali.

Nonostante questi effetti nefasti, il governo continua tranquillamente per la sua strada. Per Pareto due sono le spiegazioni. In primis la propaganda nazionalista-militarista, per cui i dazi servono a difendere la patria contro una possibile aggressione francese. Questo tipo di narrazioni, sottolinea Pareto, non esistono solo nel nostro Paese:

“Il popolo italiano è pronto a farsi menare per il naso esattamente come qualsiasi altro- scriveva Pareto -. Basta alzare la voce e proclamare forte e chiaro grandi frasi, l’”onore nazionale”, l’”espansione della razza italiana”, e simili, e il popolo si ritrova a inghiottire l’esca, senza andare in profondità e capire che razza di merci avariate si nascondano dietro questa bella bandiera”.

In secondo luogo ci sono i vantaggi che con il protezionismo ottiene la classe politicamente dominante in Italia: la borghesia.

Quest’ultima è il bersaglio preferito dell’economista genovese. Filogovernativa per definizione, la borghesia italiana non è contrastata da un’aristocrazia che sdegnosamente ripudi il governo, come accade in Inghilterra; al contrario fa fronte comune con quest’ultima. Indipendentemente dalla posizione politica dei suoi membri, essa non è affatto un baluardo della libertà, ma si accontenta di beneficiare, quasi in esclusiva, di favori, monopoli e incarichi pubblici: supporta qualunque governo per ottenere questo fine, dato che i banchetti politici di Crispi sono spesso frequentati anche da persone che non condividono le sue idee, ma ugualmente lo premiano alle urne. Il potere della borghesia è talmente forte e favorito dal governo che Pareto parla di socialismo borghese.

Non esistono forze in grado di opporvisi, neppure il popolo, troppo poco istruito e rappresentato da partiti sempre in conflitto tra di loro: Pareto propugna l’istruzione primaria obbligatoria come requisito per il diritto di voto. Neppure i radicali difendono la bandiera del liberalismo: si infervorano per la costruzione di un monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori, gesto simbolicamente anticlericale, ma allo stesso tempo lasciano che il governo approvi nuovi dazi senza l’autorizzazione del Parlamento; plaudono alle repressioni contro i reazionari fatte senza alcun riguardo dell’habeas corpus invece che riconoscere che la libertà è tale solo se concessa anche agli avversari politici.

Questa condizione è estremizzata nel Mezzogiorno. In due lettere a Liberty Pareto descrive la condizione dei cittadini del Sud, talmente disastrosa che l’autore si sente in dovere di indicare le fonti per essere credibile. Mentre il Nord non è troppo diverso dall’Europa, in molti paesi del Meridione le famiglie vivono ammucchiate nei seminterrati, spesso assieme ad animali domestici, mangiano solo pane e verdure scadenti e i bambini girano nudi fino a 10 o 12 anni. Tutto questo è dovuto principalmente alla totale soggezione del popolo alle classi alte, per i membri delle quali esiste perfino un nome specifico, galantuomini. Molto più che nel Nord essi hanno il controllo assoluto dei comuni e possiedono tutte le terre, riuscendo ad accaparrarsene altre ad ogni nuova spartizione. Praticano inoltre l’usura, prestando unità di grano ai contadini per tassi altissimi e controllando anche i monti frumentari che dovrebbero combattere questo fenomeno; e hanno deputati che possono difenderli da eventuali ispezioni del governo centrale. Di fronte a chi, come oggi, invoca lo Stato come soluzione della Questione Meridionale, Pareto evidenzia che è proprio lo Stato a consolidare il potere dei galantuomini e a oberare i cittadini del Sud con tasse e balzelli di ogni tipo, finalizzati a spese inutili: la soluzione può venire solo dal libero mercato.

Mentre al Nord il popolo è un soggetto politico vero e proprio, tanto che a Milano già nel 1882 viene eletto il primo deputato lavoratore, Antonio Maffi, al Sud e in Toscana esso non è consapevole dei propri interessi e continua inconsapevolmente a difendere quelli dei padroni. Il potere della borghesia si auto-alimenta in un processo di path-dependance: i discendenti degli uomini che adoravano il feticcio, si prostravano di fronte ai despoti, ai papi e agli imperatori, pregavano rocce, animali e poi dei, ora si inchinano di fronte alla ricchezza e al diritto di nascita. Abituati a governi autoritari, gli italiani, particolarmente al Sud, credono che borghesi e nobili non siano uomini come loro, e così si lasciano dominare senza resistenza.

Educare il popolo è per Pareto il grande obiettivo dei liberali, perché è proprio l’ignoranza delle classi più umili che impedisce di avere un buon governo, rendendole facile preda della propaganda militarista e protezionista governativa e lasciando la borghesia funzionariale senza avversari. Oggi certamente molto è cambiato rispetto all’Ottocento, ma non per tutti è facile orientarsi nella complessità della società moderna. Condividere le proprie conoscenze, diffondere le proprie opinioni e combattere la falsa informazione è un impegno encomiabile per le persone più istruite. Ed è la vera missione del giornalista

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Andrea Pradelli

PhD student in Economics at Trento University. Passionate about politics, economics, languages and history, especially the Habsburg Empire.